L’eretico
di Antonio Bellomi
“Sia introdotto l’eretico,” ordinò l’Inquisitore Speciale di Sua Santità, Papa Attila III, mentre si aggiustava sul volto severo la maschera di velluto nero che gli copriva totalmente i lineamenti. Solo gli occhi erano visibili dai due fori della maschera, occhi neri e penetranti che dardeggiavano uno sguardo di fiamma che bruciava fin nell’anima di chi guardava.
I due armigeri in uniforme di guardia svizzera con la croce fiammeggiante sul petto, racchiusa in un ovale bianco e giallo, di sentinella alla grande porta della Sala delle Udienze, aprirono i pesanti battenti di quercia e si ritirarono sui lati per lasciar passare un drappello di quattro guardie condotte da un ufficiale, al cui centro si trascinava in catene un uomo dai capelli argentei che indossava la tonaca nera dei semplici sacerdoti. Sul petto del prigioniero pendeva il cappuccio dei condannati a morte che fino a quel momento si era rifiutato sprezzantemente di portare. L’uomo era sulla trentina, ma camminava a fatica, come un vegliardo. Le torture cui era stato sottoposto dalle carnefici della Santa Inquisizione ne avevano minato il fisico un tempo scattante e ora il suo viso stravolto dalla sofferenza era solcato da rughe di sfinimento.
“Padre Ombuda,” disse l’Inquisitore e la sua non era una domanda, ma solo la constatazione dell’identità del prigioniero. Con un cenno della mano l’Inquisitore allontanò il drappello delle guardie e anche le due di sentinella alla porta uscirono e sprangarono il pesante portale dietro di loro.
“Sono Padre Ombuda,” ripeté il prigioniero sollevando la testa con un moto di fierezza e fissando il suo interlocutore negli occhi.
L’Inquisitore discese i tre gradini del piccolo podio su cui troneggiava la maestosa sedia dorata dell’Arcivescovo di Blarion IV. Si avvicinò al prigioniero e quando fu a soli due metri da lui gli girò attorno in semicerchio come se volesse esaminarlo.
“Vi sembra così strano un cosiddetto eretico?” chiese con amarezza Padre Ombuda, seguendolo con gli occhi. “Non ne avete visti a sufficienza durante la vostra carriera?”
L’Inquisitore fece un risolino e le sue labbra, appena visibili dalla fessura della maschera, tremolarono. “Vedo che le cure delle Buone Sorelle di Nazareth non vi hanno ancora ammorbidito, Padre Ombuda.”
Il prigioniero sollevò le spalle. Bastò quella mossa per farlo barcollare leggermente e una smorfia di dolore gli contorse il volto. “La sofferenza è qualcosa che va e che viene,” rispose Padre Ombuda. “Adesso è toccata a me, ma prima del vostro arrivo siamo stati noi a imporla su questo mondo di miscredenti.”
L’Inquisitore si irrigidì e le sue mani si contrassero. “Ciò che avete fatto agli abitanti di Blarion IV è stato abominevole, padre,” disse con la voce alterata dall’ira. “Le vostre astronavi provenienti da Albiges hanno portato lutti senza fine. Avete ucciso e imposto l’adorazione di un Dio falso e bugiardo alla popolazione che viveva nella santità della Vera Fede. E ora osate vantarvene?”
Il prigioniero sussultò come se fosse stato trafitto da una lama incandescente e per un attimo parve volersi avventare contro l’Inquisitore Speciale, ma lo sferragliare delle catene da cui era avvinto lo richiamò alla realtà. Non avrebbe potuto nulla contro l’avversario.
“Il mio Cristo non è falso e bugiardo!” gridò. “Il mio Cristo è quello vero, quello che tutte le ricostruzioni storiche e scientifiche dimostrano essere vero. Albiges ha dedicato tutto se stesso alla ricerca della Vera Fede.” La voce gli tremava per la collera e gli occhi appannati dalla sofferenza ricevuta parvero ritrovare l’antico splendore di quando aveva guidato l’armata di Albiges contro Blarion IV, nella Grande Nube di Magellano. “Noi siamo i veri cristiani,” continuò infervorandosi, “noi che difendiamo la Vera Fede e per essa siamo disposti a morire.”
“E a far morire,” aggiunse piano l’Inquisitore Speciale.
“E a far morire, sia!” esclamò Padre Ombuda. Poi con una traccia di ironia nella voce, aggiunse: “Perché voi cos’avete fatto del resto, Inquisitore? Siete arrivato qui con un’armata proveniente dalla Terra e ci avete affrontati. Probabilmente dopo aver distrutto Albiges.”
“Albiges è stato distrutto, infatti,” confermò l’Inquisitore. Nella sua voce c’era un tono indefinibile il cui significato sfuggì al prigioniero. “Ma Roma non poteva assistere indifferente al massacro dei suoi credenti più fedeli.”
“I tentacoli di Roma non si stendono più sulla Galassia come un tempo,” ribatté Padre Ombuda. “Già il suo impero scricchiola. Un impero costruito sulla menzogna non può reggere all’infinito. Distruggete Albiges, ma vedrete sorgere altri centri religiosi, su altri mondi lontani e nascosti, da cui un giorno la Vera Fede dilagherà per l’universo come una marea irresistibile che vi travolgerà tutti e che non si fermerà neanche davanti alle vetuste mura di Roma!”
“Quanto siete illuso, povero amico!” esclamò l’Inquisitore. Nella sua voce vibrava forte un accento di pietà e di tristezza. Si avvicinò al prigioniero e lo prese per un braccio. “Guardate!”
Con un braccio gli indicò la volta affrescata della grande sala. “Guardate!” ripeté in tono tagliente, di comando.
Padre Ombuda sollevò gli occhi per seguire il dito dell’Inquisitore, ma lo sforzo lo fece barcollare e sarebbe caduto se il braccio dell’altro non l’avesse sorretto. “Falsità, assurdità ripudiate dalla scienza e dalla storia,” balbettò il prigioniero sollevando contemporaneamente i polsi incatenati e passandoseli sulla fronte come per scacciare una visione d’incubo.
L’Inquisitore si allontanò di qualche passo da lui e prese al volo uno dei tanti scranni che ornavano in fila la parete della sala, spingendolo verso di lui sul lucido pavimento con un energico movimento di polso. Lo scanno slittò sul mosaico di marmo raffigurante una immensa croce e si fermò proprio davanti all’eretico.
“Sedetevi, Padre Ombuda,” gli ordinò l’Inquisitore.
Quando l’eretico esitò, l’Inquisitore alzò la voce con durezza. “Ho detto di sedervi, Padre! Non sono abituato a ripetere due volte i miei ordini.”
Con un gemito Padre Ombuda si afflosciò sullo scanno. “Voi mi ricordate tanto il Venerabile Maestro di Albiges,” disse. “Lo stesso tono di comando. La stessa durezza...”
L’Inquisitore strinse le labbra, come se la frecciata dell’eretico l’avesse ferito profondamente. “Ho detto di sedervi, Padre Ombuda, non di fare paragoni oltraggiosi e sciocchi. E vi ho detto di sedervi perché volevo mostrarvi qualcosa.”
Padre Ombuda si spostò leggermente sullo scanno facendo tintinnare le catene. “È vero. Mi stavate mostrando qualcosa.”
“Esatto. Guardate lassù.”
Il dito dell’Inquisitore mostrò il rosone centrale della Sala delle Udienze del Vescovado di Mediora, la capitale di Blarion IV. “Guardate quel Cristo,” la sua voce tremava per l’eccitazione. “Un Cristo sanguinante, appeso a una croce che era il marchio dell’infamia. L’uomo Dio che ha sofferto quanto più era possibile soffrire umanamente per riscattare i nostri peccati. E voi cosa ci offrite? Cosa ci offrite voi di Albiges? Un Cristo bionico, un robot creato da una razza aliena proveniente da qualche nebulosa extragalattica non meglio identificata che avrebbe semplicemente avuto lo scopo di unificare la Terra primitiva d’allora con la forza di una religione artificiale. Ma la vostra non è solo eresia... è bestemmia!”
Padre Ombuda scattò in piedi e i suoi occhi sfolgorarono. “Ma voi avete letto i nostri libri? Avete approfondito la questione? Noi abbiamo raccolto per anni e anni tutto lo scibile disponibile nell’universo conosciuto per accertare chi è stato veramente il Cristo comparso sulla Terra. I nostri inviati in ogni parte della Galassia e delle Nebulose Magellaniche ci hanno inviato libri, nastri, dischi, testimonianze di ogni genere ed epoca che i nostri computer hanno elaborato in uno studio completo e affidabile. No, Inquisitore, non ci sono dubbi. Il Cristo che millenni fa è giunto sulla Terra e hanno crocifisso sul Golgota era solo un robot. Un robot inviato da razze superiori extragalattiche che hanno voluto imporre la loro religione alla Terra con un atto di grandiosa scenografia, visto che i tentativi precedenti a livello ideologico-teologico erano abbastanza miseramente falliti. Ci voleva un catalizzatore e il catalizzatore è stato il Cristo Robot!”
“Ora verrete a dirmi che le nostre fedi coincidono o quasi,” lo irrise l’Inquisitore passeggiando avanti e indietro nella sala, i passi rimbombanti sonoramente dietro a lui. “In fondo, a parte la piccola differenza di un Cristo che non è esistito e di una Vergine Maria che non si sa bene cosa possa avere partorito, il resto coincide!”
Gli occhi di Padre Ombuda tornarono a fiammeggiare. L’eretico allontanò con un calcio lo scanno su cui pochi istanti prima aveva riposato il suo corpo tormentato. “La vostra ironia è fuori luogo, Inquisitore. E quando tornerete a Roma, ripetete ad Attila III il mio messaggio. Verrà un giorno che la Verità trionferà sulla Chiesa di Roma e allora tutto il suo grande impero si sgretolerà come prima di esso si sono sgretolati tutti i grandi imperi, della Terra prima e della Galassia poi!”
L’Inquisitore aveva ripreso la sua compostezza e tornò lentamente verso il podio. Salì i tre gradini e si sedette sulla sedia dorata, simbolo del comando dell’Arcivescovo di Blarion IV ucciso dalla soldataglia di Albiges.
“È finita l’intervista?” chiese ironico l’eretico guardandolo con sfida.
L’Inquisitore non gli rispose. Premette un pulsante sul bracciolo della poltrona dorata e ordinò al microfono invisibile che avrebbe raccolto le sue parole: “Venite a riprendere il prigioniero. Che sia ricondotto nelle segrete del Vescovado.”
* * *
Quando l’eretico fu condotto via, l’Inquisitore rimase solo nella sala vuota, il mento sorretto dalla mano, il gomito appoggiato al bracciolo della sedia dorata. Il suo sguardo perso nel nulla era lontano, al di là di Blarion, e osservava un mondo in fiamme, ridotto a un vulcano di lava incandescente dalle astronavi della Santa sede. Lutti e distruzioni. Ma erano proprio necessari, si chiese?
Prima che potesse darsi una risposta arrivò un capitano della guardia svizzera. “Vi vogliono nella Sala Operativa, Inquisitore. È l’ora del briefing.”
L’Inquisitore lo seguì in silenzio. Quando entrò nella Sala Operativa vide schierati lungo il tavolo tutti i comandanti delle astronavi che avevano preso parte alla spedizione punitiva. Solo quando l’Inquisitore si fu assiso sulla poltroncina a capotavola, i comandanti si sedettero anch’essi. L’Inquisitore li fissò in viso e vide volti decisi, avvezzi alla durezza della guerra, visi di domenicani pronti a sfidare ogni pericolo per imporre la legge della Croce.
Fu il comandante in capo della Flotta, l’Ammiraglio Fau Majok a parlare per primo, un duro antariano dalla pelle rossastra e i capelli verdi che l’Inquisitore aveva già avuto moto di apprezzare in precedenti occasioni.
“L’eresia è stroncata, Inquisitore,” disse l’ammiraglio con quella sua pronuncia sibilante che lo faceva assomigliare a un rettile velenoso. “Abbiamo stroncato anche la resistenza della fortezza di Klaufir, l’ultima postazione in mano agli albigesi. Ora Blarion IV è in mano nostra.”
Tacque e aspettò il cenno di approvazione dell’Inquisitore. Questi non rispose subito. Il suo sguardo era ancora una volta perso lontano, tra le tenebre dello spazio, là dove fumigava ancora un mondo. Il silenzio nella sala divenne quasi insopportabile, ma nessuno ordinò di romperlo. Due ufficiali si interrogarono con lo sguardo, perplessi.
Poi l’Inquisitore parve ritornare in sé e riportò lo sguardo sull’ammiraglio. “Grazie, ammiraglio. Signori, la vostra opera è stata encomiabile. Non solo avete distrutto quel nido di vipere che si annidava su Albiges, ma avete stroncato con abilità la resistenza degli eretici che avevano conquistato Blarion IV con le armi.”
Fece una pausa poi continuò. “Ora la parte militare è finita e informerò il Santo Padre del successo della nostra spedizione. Ma rimane ancora una cosa da fare, la parte più sgradevole della nostra missione, ma la più necessaria.”
“Noi aspettiamo solo gli ordini,” disse l’ammiraglio FauMajok, “quali che essi siano, verranno eseguiti.
“Lo sguardo dell’Inquisitore fissò ad uno ad uno i volti dei comandanti per assicurarsi che non ci fossero resistenze all’ordine che di lì a poco avrebbe emanato. Qualcuno si mosse a disagio sulla poltrona sotto quello sguardo bruciante che fluiva dai fori della maschera, ma nessuno parlò.
“Gli ordini del Santo Padre sono tassativi,” disse l’Inquisitore con voce pacata. “Questa gente, questi eretici, questi albigesi hanno osato sfidare la potenza della Chiesa su una scala cosmica che nessuno aveva mai avuto l’audacia di affrontare. Questi eretici hanno portato non solo il seme malvagio dell’eresia sul mondo fedele ai dettami di Santa Romana Chiesa, ma hanno addirittura osato rivolgere le armi contro i cattolici più fedeli, i sudditi più cari al cuore del Santo Padre.”
“Hanno distrutto, torturato, ucciso per imporre la loro fede bugiarda,” osò dire l’ammiraglio. Gli altri comandanti non fiatarono neppure di fronte a quell’audacia, ma l’Inquisitore non parve dare peso al protocollo non osservato. Infilò una mano nella tasca della tonaca nera con la rossa croce fiammeggiante sul petto ed estrasse un foglietto.
“Ecco qui il testo dell’ipergramma inviato dal Santo Padre il giorno del nostro arrivo su Blarion IV. Era in cifra e solo a vittoria ottenuta avevo il dovere di comunicarvelo.”
L’Inquisitore spiegò il foglio davanti a sé e pur conoscendo quel testo a memoria per le tante volte che ormai l’aveva letto, lo rilesse lentamente, con cura, come se non volesse correre il rischio di dimenticare qualche parola. “Il sangue dei martiri di Blarion IV ricada su coloro che ne sono la causa. Che il sangue e le sofferenze degli eretici mondino il sacrilegio compiuto dalle loro armi contro Blarion IV, il mondo così vicino al nostro paterno cuore.”
Un silenzio di gelo calò nella stanza. La punizione sarebbe stata dura, la più dura di tutte. Da quanti anni ormai non era stata applicata contro le varie sette eretiche che ogni tanto spuntavano qua e là nella galassia, nessuno avrebbe saputo dirlo, ma indubbiamente erano secoli che non si applicava. Ma era anche vero, rifletté l’Inquisitore vedendo quei volti tirati e quasi spaventati per l’immensa responsabilità che ricadeva su di loro, che nessuna altra setta eretica aveva osato sfidare la Santa Sede in un momento così delicato di equilibri stellari.
“Questo vuol dire la crocifissione,” disse l’ammiraglio e la sua voce tremò. Gli altri ufficiali osavano appena respirare e i loro occhi sgranati fissavano l’Inquisitore che con mano ferma ripiegava religiosamente il messaggio di Roma.
“La crocifissione,” confermò secco l’Inquisitore Speciale con un cenno del capo dai capelli argentei. “La punizione verrà ritrasmessa in ipervisione e mandata in onda su tutti i mondi raggiungibili. Sugli altri mondi verranno inviate le registrazioni. Tutti dovranno comprendere che la pazienza del Santo Padre ha finalmente ceduto di fronte alla tracotanza degli eretici. Nessun cittadino della Sacra Romana Galassia dovrà dimenticare questo giorno e quanto avvererà su Blarion IV dovrà servire da monito alle generazioni future.”
Nessuno fiatò. Poi l’ammiraglio fece un cenno al comandante Vasco Bejo, incaricato dei servizi speciali, che poteva parlare. “Ci sono disposizioni particolari, Inquisitore?” chiese questi con deferenza. “Avete qualche preferenza per la regia o lasciate carta bianca a noi?”
L’Inquisitore lo fissò e lo soppesò. Conosceva bene il comandante Bejo, un giovane ambizioso ma di grande talento. Ci si poteva fidare di lui, nonostante l’aspetto rinsecchito e lo sguardo da rapace che spesso dava i brividi a chi lo guardava.
“Solo una disposizione, comandante Bejo,” rispose l’Inquisitore. “Le croci dovranno essere erette su entrambi i lati del viale che conduce alla Basilica della Purificazione. Per l’occasione verranno tagliate tutte le chiome degli alberi e i tronchi serviranno come affusto della croce. Sono trecento alberi e basteranno per i prigionieri principali. Per gli altri la punizione verrà decisa in un secondo tempo.”
L’ammiraglio Fau Majok lo interruppe. “Faccio rispettosamente notare che abbiamo solo cinquecento prigionieri. Gli altri eretici sono tutti morti in combattimento. Per cui sarebbe agevole costruire delle croci supplementari...”
“No!” Gli occhi dell’Inquisitore lampeggiarono. “Trecento sono gli alberi e trecento saranno le vittime. Il numero è sufficiente per una punizione esemplare che passi alla storia. Non vedo la ragione di imporre atroci sofferenze al di là dello stretto necessario. Il nostro dovrà essere un esempio, non una vendetta.”
L’ammiraglio tacque. Il rimbrotto l’aveva ferito, ma non lo diede a vedere.
Gli altri ufficiali non sollevarono obiezioni di sorta. Nessuno del resto avrebbe ardito tanto.
“Per la regia,” l’Inquisitore accennò a un’ombra di sorriso sotto la maschera, “lascerò fare a voi, comandante Bejo. So di poter contare sulla vostra competenza.”
* * *
Tre giorni prima del supplizio collettivo, Padre Ombuda fu di nuovo condotto alla presenza dell’Inquisitore Speciale e come la volta precedente rimase solo con lui nella grande sala delle udienze dell’Arcivescovado. In quei giorni non era stato sottoposto ad altre torture e pareva essersi alquanto rinfrancato, ma quando l’Inquisitore scese dai gradini e si avvicinò a lui barcollò ugualmente.
“Avete paura?” gli chiese gentilmente l’Inquisitore.
Padre Ombuda lo guardò sprezzante. “Non temo per me,” rispose. “Penso solo alle sofferenze che volete imporre ai miei seguaci. Non vi basta riversare la vostra vendetta contro di me che sono il capo?”
L’Inquisitore scosse la testa. “Io non cerco la vendetta. Desidero solo che le eresie cessino nella Sacra Romana Galassia e per questo mi è necessario che la popolazione dei diecimila soli assista al vostro supplizio.”
“Ma che uomo potete essere, da imporre la più atroce delle morti ai vostri simili? Dite che anche noi abbiamo torturato, ma non è vero. Sì, abbiamo ucciso, in battaglia, quelli che noi consideriamo eretici, ma la tortura no, non l’abbiamo usata.”
“Ne siete proprio sicuro?” ribatté con freddezza l’Inquisitore.
La sicurezza di Padre Ombuda vacillò. “I miei ordini almeno erano quelli. Se qualcuno li ha trasgrediti...”
Nella grande sala ci fu un attimo di silenzio. Il sole di Blarion IV stava calando al tramonto del terzo giorno prima del supplizio e le prime ombre scivolarono fuori dagli angoli dei muri come nere serpi in agguato.
“Gli ordini, sempre ordini,” commentò l’Inquisitore con voce pacata. “Parole che vanno e che vengono...”
Si era avvicinato al prigioniero e gli stava davanti come se volesse dirgli qualcosa e in quell’istante di sospensione Padre Ombuda sollevò le mani incatenate e gli strappò la maschera. Un’ultima lama di sole colpì i lineamenti dell’Inquisitore. Un grido soffocato sfuggì dalle labbra torturate del prigioniero: “Il Venerabile Maestro!”
L’Inquisitore era rimasto impietrito. Il suo viso magro e ascetico era tirato e mostrava i segni di una intima sofferenza. Nei suoi occhi si leggeva una tristezza infinita.
Padre Ombuda cadde in ginocchio davanti a lui. “Venerabile Maestro, io non capisco! Voi... spiegatemi cosa succede! Io non comprendo più nulla...”
L’Inquisitore si chinò sull’antico discepolo e lo sollevò in piedi tenendolo stretto tra le sue braccia. Quando parlò la sua voce era colma di dolore.
“Padre Ombuda,” gli disse. “Voi siete stato ingannato. Tutto Albiges è stato ingannato. La vostra eresia è stata costruita a tavolino. I vostri emissari in giro per l’universo sono stati ingannati e hanno inviato falsi rapporti perché voi poteste costruire la vostra falsa eresia. La Chiesa di Roma vi ha aiutati segretamente per anni e anni perché voi poteste un giorno rivoltarvi contro di essa e portarle la guerra. E io, il Venerabile Maestro Moar Januzy, sono il più colpevole di tutti perché col mio insegnamento vi ho spinti a portare l’attacco proprio nel cuore della Chiesa.”
“Tutta una frode...” mormorò Padre Ombuda con gli occhi colmi di orrore. “Tutta una frode costruita lentamente a tavolino per spingerci contro la Chiesa... contro Blarion IV... ma perché Venerabile Maestro... e perché voi vi siete prestato a questo gioco infame?”
L’Inquisitore accompagnò l’antico discepolo verso uno scanno e lo fece accomodare, poi si mise di fronte a lui a braccia conserte. “L’ho fatto per la grandezza della Chiesa,” disse con voce sorda. “Perché questo era il desiderio del Santo Padre. Perché la Fede sta illanguidendo tra i mondi delle stelle e perché solo il sangue dei martiri può rivivificarla. Perché l’intorpidimento religioso non prevalesse. Per risvegliare le coscienze. Gli uomini sono inclini a dimenticare la Vera Fede quando l’universo vive in pace. Le eresie che sorgevano spontanee non erano abbastanza virulente da scuotere l’apatia delle anime. Occorreva un esempio eclatante, un esempio così oltraggioso che richiedesse una punizione esemplare e indimenticabile.”
“E siamo stati scelti noi,” disse con amarezza Padre Ombuda. “Quante sofferenze si sarebbero potute risparmiare. Quanti dolori...”
“Non inutili, Padre Ombuda!” esclamò l’Inquisitore. “Pensate al risultato. Le vostre sofferenze riscatteranno il peccato di apatia religiosa in cui è venuto a cadere l’universo. Voi rivivrete la morte del Signore e il vostro esempio servirà a cantare più forte la Sua Gloria!”
“Lo strumento del Signore!” disse a bassa voce Padre Ombuda. “Io... io credo che la vostra sia stata una scelta sbagliata, ma se il risultato sarà quello di rivivificare la Fede, ebbene accetteremo il martirio con gioia...”
L’Inquisitore lo afferrò per le spalle. “Padre Ombuda, questo è quanto speravo di sentirvi dire. La Gloria del Signore è più importante della nostra vi...”
Il peso del corpo di Padre Ombuda si afflosciò tra le sue braccia.
Morto?
L’Inquisitore si chinò su di lui. Il cuore di Padre Ombuda aveva cessato di battere.
L’emozione, pensò l’Inquisitore, il cuore sollecitato dalle torture dei giorni precedenti non aveva retto all’emozione della rivelazione.
L’Inquisitore si portò una mano alla fronte. Il capo degli eretici non poteva mancare all’appuntamento col sacrificio o sarebbe stata vanificata anche la morte dei suoi seguaci.
L’Inquisitore si chinò rapidamente su Padre Ombuda, gli sciolse le catene con la chiave universale di cui era in possesso e lo spogliò della sua tonaca disadorna, rivestendolo poi della propria con la croce fiammeggiante. Sul viso che nella morte aveva assunto un’espressione di pace mise la propria maschera di velluto nero. I capelli erano identici.
Sì, nessuno dei comandanti l’aveva mai visto in viso, nessuno l’avrebbe riconosciuto e il capo degli eretici sarebbe salito comunque sulla croce. Il martirio degli albigesi si sarebbe compiuto anche in assenza dell’Inquisitore Speciale. E anche se lui non era mai stato d’accordo col Santo Padre e le sue trame per rafforzare la fede degli uomini, non si sarebbe tirato indietro ora che doveva pagare di persona.
Indossò la tonaca di Padre Ombuda e si infilò il cappuccio nero che l’eretico aveva con tanto disprezzo rifiutato. Era nel suo diritto di condannato di tenerlo sempre sul volto e nessuno glielo avrebbe tolto, neanche le Buone Sorelle di Nazareth alle cui cure sarebbe stato affidato prima del supplizio per la tortura.
Lentamente cominciò a pregare: Domine non sum dignus...
Copyright © 1983 by Antonio Bellomi